Devitalizzazione

I denti non sono soltanto una componente essenziale del nostro organismo, quella che ci permette di masticare il cibo e di nutrirci correttamente. Sono anche un elemento dall’alto valore simbolico e psicologico. Attraverso la dentatura possiamo vedere quanto il corpo cresce e matura, ma anche quanto è in salute. Ecco perché è indispensabile non sottovalutare i preziosi segnali che i denti ci inviano.

Un’infezione dentale, che a prima vista può sembrare di semplice risoluzione e fondamentalmente “innocua”, può invece avere conseguenze anche gravi per cuore, polmoni e cervello. Un’opportuna opera di prevenzione e la migliore cura possibile si rendono quindi necessarie. Devitalizzare un dente è una delle pratiche odontoiatriche con cui si può intervenire per ristabilire l’equilibrio all’interno del cavo orale.

 

Cosa significa devitalizzare un dente: la struttura dentaria

Ma cosa vuol dire devitalizzare un dente? Significa letteralmente far sì che il dente cessi la propria vitalità. L’intervento consiste infatti nell’asportazione della polpa, dei vasi sanguigni e dei nervi fino all’apice radicale del dente. Si deve però specificare un fatto: al contrario di quanto si pensa comunemente, un dente devitalizzato risulta ancora vivo.

Per questo può ancora essere interessato da eventuali infezioni e dev’essere costantemente tenuto sotto controllo: il ruolo della prevenzione è basilare. Dato che si parla della parte più interna del dente (endodonto), vale la pena approfondire la sua anatomia e la posizione all’interno della bocca, fondamentale per la masticazione e la funzione fonetica.

Posti all’interno delle cavità ossee dette alveoli e supportati dalle ossa mascellari, i denti sono costituiti esternamente da:
 
  • Corona, la parte superiore visibile a occhio nudo, la cui forma varia in base alla funzione (taglio, morso, masticazione, ecc.)
  • Colletto, che permette a corona e radice di restare connesse. Dev’essere sempre accuratamente pulito, perché è proprio qui che si raccoglie la placca batterica
  • Radice all’interno dell’osso alveolare, profonda e non visibile. Il numero delle radici cambia a seconda della tipologia di dente

Andando invece verso l’interno, il dente è composto da:
 
  • Smalto, l’elemento più duro presente nel nostro organismo. È la superficie più esterna della corona e consiste per il 96% di minerali e per il 4% di sostanze organiche
  • Dentina, direttamente legata alla colorazione dei denti. È costituita da materiale inorganico (70%) e materiale organico e acqua (30%)
  • Cemento, posto a difesa della radice subito sotto le gengive. Si tratta di uno strato sottile e resistente, le cui fibre permettono al dente di restare saldato all’osso alveolare
  • Polpa, tessuto molle composto da nervo, vasi sanguigni e altri tipi di cellule, al cui interno viene prodotta la dentina. Il nervo irrora il dente e lo protegge dalla normale presenza dei batteri nella bocca. È dunque la polpa la responsabile della vitalità del dente.

 

Quando c’è un dente da devitalizzare: i sintomi e le cause

È naturale domandarsi a questo punto quando si devitalizza un dente. Si ricorre a questo intervento per trattare infezioni interne che hanno generato un danno irreversibile alla polpa. Lo scopo della devitalizzazione dentaria è infatti salvare il dente stesso dalla rimozione. La situazione diventa assolutamente chiara nel momento in cui si procede con una radiografia: l’esame strumentale permette di visualizzare la polpa attaccata e deteriorata dall’infezione. Quest’ultima è in genere legata ai batteri che popolano la bocca e può avere origine da:
  • Carie profonda. Si forma sotto la placca batterica che circonda il dente e, se non trattata, riesce a giungere fino alla dentina e a perforarla. Non solo: può andare ancora più in profondità, fino alla polpa del dente e quindi ai suoi tessuti nervosi. La carie può essere causata dalla scarsa resistenza o dal disallineamento dei denti, dalla diminuzione della quantità di saliva (che può anche acidificarsi e contribuire allo sviluppo del problema), dal fumo o da una dieta poco equilibrata, soprattutto se molto ricca di cibi raffinati e zuccheri.
  • Rottura del dente, soprattutto se profonda, e altri traumi, che possono provocare un danno alla polpa anche senza segni evidenti di scheggiatura o rottura. Proprio tale assenza facilita l’evoluzione silenziosa dell’infezione, che può anche portare allo sviluppo di un ascesso o di un granuloma.
  • Avanzare dell’età. Questo perché l’invecchiamento (e talvolta l’assunzione di farmaci) può comportare una riduzione del senso del gusto: i pazienti tendono quindi a scegliere cibi più saporiti e conditi, con conseguenze negative sull’equilibrio della bocca. Altre problematiche possono essere il consumo dello smalto, che lascia i denti esposti a eventuali danni, e un’ulteriore riduzione della saliva a opera dei farmaci.
  • Numerosi interventi ai denti.

Nel caso specifico della carie, bisogna anche considerare che alcuni denti, in particolare molari, premolari e incisivi superiori, sono più sensibili allo sviluppo di questa problematica: è infatti più difficile raggiungerli durante le operazioni di pulizia.

La devitalizzazione dei denti si rende indispensabile in ogni caso in cui il paziente percepisce un’ipersensibilità del dente al caldo, al freddo o al contatto. Un notevole campanello d’allarme è un dolore che dura per più di 2 o 3 giorni di seguito. Ma non bisogna nemmeno farsi ingannare dall’eventuale diminuzione dei sintomi dolorosi: al contrario, l’infezione potrebbe aver raggiunto il canale radicolare.

È in questa fase che possono insorgere altri sintomi, come produzione di pus, gonfiore della gengiva e del viso nella zona interessata, cambiamento del colore nel dente. Quando il dolore diventa insostenibile al punto di influire negativamente sulla qualità della vita o quando l’infezione è ormai diventata un pericolo per la salute della bocca, si procede a devitalizzare il dente prima di doverlo estrarre: è infatti assai preferibile che il paziente conservi la propria dentatura naturale.

 

Le possibili conseguenze della mancata devitalizzazione di un dente

Se non trattata adeguatamente, l’infezione può arrivare a coinvolgere il sangue e i tessuti vicini, fino a conseguenze molto gravi come la setticemia. Fra le prime possibili conseguenze di un mancato trattamento vi sono:
 
  • Granuloma dentale, l’infiammazione cronica dell’apice radicale del dente. Spesso è inizialmente asintomatico perché l’infezione cronicizza nell’immediato. In seguito, può degenerare in ascesso.
  • Ascesso dentale, una tumefazione in cui si raccoglie pus, che può causare un dolore acutissimo. Il paziente potrebbe anche sperimentare gonfiore gengivale, alitosi, ipersensibilità della dentina, febbre e ingrossamento dei linfonodi del collo.
  • Pulpite dentale, l’infiammazione della polpa. Non è facile identificarla: il paziente percepisce un dolore difficilmente collocabile e sente il dente pulsare. Nei casi più gravi, può sopraggiungere la “morte” della polpa (necrotizzazione).
  • Distruzione del dente e della radice.

 

L'intervento di devitalizzazione di un dente

Dopo aver comunicato in anticipo eventuali allergie o l’assunzione di farmaci, il paziente si sottopone a una panoramica dentale, in modo da ottenere una visione chiara del canale radicolare così come della situazione generale. Viene poi somministrata un’anestesia locale sulla gengiva tramite iniezione.

Quindi come si fa a devitalizzare un dente? Prima di tutto, una rassicurazione. Se un tempo la devitalizzazione poteva provocare dolore, oggi il progresso della tecnologia e delle procedure anestesiologiche consente di evitare esperienze spiacevoli. Dunque, la devitalizzazione di un dente non fa male. Inoltre, si tratta di un’operazione indicata per tutti i denti, anche quelli già incapsulati.
Ecco quindi tutte le fasi di devitalizzazione di un dente:
 
  • Viene posizionata nel punto interessato la cosiddetta diga, ovvero un piccolo foglio in lattice che ha la funzione di isolare il dente. Questo porta a due vantaggi: il dente resta libero dalla saliva e il paziente non ingerisce involontariamente le sostanze coinvolte durante la procedura.
  • Si realizza un’apertura sula corona dentale, così da arrivare alla polpa e procedere alla sua rimozione, per poi ripulire le radici. Un’operazione che può essere eseguita con grande meticolosità, grazie all’utilizzo del rivelatore d’apice: è così che è possibile misurare l’esatta lunghezza delle radici. Se è presente un ascesso, si procede al suo totale drenaggio.
  • Si sagomano i canali radicolari per allargarli, così che sia più facile riempirli in seguito, e si procede con la sterilizzazione.
  • I canali vengono riempiti con materiale di otturazione biocompatibile e sterile: è la guttaperca, una resina naturale che si tramuta in idrossido di calcio e viene mescolata con cemento adesivo, così da garantire la totale schermatura del canale radicolare. Il dente viene quindi sigillato.
  • In buona parte dei casi, si passa alla ricostruzione della corona, poiché un dente trattato è più vulnerabile e maggiormente soggetto alla rottura. Si rimuove l’otturazione temporanea e di solito si applica una capsula in porcellana, ceramica, metallo o vetro rinforzato.

Dal momento che incisivi e canini hanno in genere una sola radice, mentre premolari e molari ne hanno invece due o tre (e in ognuna sono presenti uno o due canali radicolari), la devitalizzazione del dente richiede un tempo variabile: in alcune situazioni possono essere necessarie alcune ore e perfino più di una seduta, se l’infezione è particolarmente ampia e se ad esempio si deve devitalizzare un molare.

Quando vengono programmate diverse sedute, il dentista può sterilizzare i canali e richiudere il dente in modo temporaneo. Se si manifestassero sintomi come gonfiore o febbre, indicativi di un’infezione, potrebbe essere necessario un trattamento con antibiotico. In alcune specifiche situazioni, il dentista potrebbe essere di nuovo costretto a devitalizzare lo stesso dente: un ritrattamento opportuno se compaiono altri danni o si sviluppano granulomi.

 

Devitalizzazione dente: il post-intervento

Dopo la devitalizzazione dei denti, il paziente non deve prestare particolare attenzione, anche se è sempre meglio masticare dall’altro lato rispetto al dente trattato. Inoltre, per non incorrere in un danneggiamento del dente dopo la prima seduta, si devono evitare cibi particolarmente croccanti. Non bisogna allarmarsi di fronte al dolore: è perfettamente normale sentire male subito dopo la devitalizzazione del dente, ma è un dolore che di solito passa quasi subito.

In ogni caso, dopo la devitalizzazione del dente le conseguenze possono essere:
  • Elevata sensibilità del dente nelle 2 settimane dopo l’intervento;
  • Ricomparsa del dolore, che il paziente deve subito segnalare al medico;
  • Colorazione alterata del dente, che tende a diventare più forte del classico bianco;
  • Se fosse stata male eseguita la devitalizzazione, il dente potrebbe cadere o potrebbe rendersi necessaria un’estrazione.
Nella stragrande maggioranza dei casi, la devitalizzazione dei denti ha successo ed è davvero bassissimo il rischio di complicanze. Secondo le statistiche, il 90% dei denti devitalizzati può conservarsi nella propria sede per circa 8-10 anni e addirittura per tutta la vita del paziente, in special modo quando sono protetti dalla capsula.

In ogni caso, una volta superato il primo periodo di assestamento, il paziente può contribuire al successo dell’intervento con una rigorosa igiene orale con spazzolino e filo interdentale. Inoltre, dovrebbe sottoporsi a due sedute all’anno di igiene professionale. Anche se si tratta di un dente devitalizzato, tutto ciò che lo circonda deve restare oggetto di cure, dalle gengive agli interstizi, così da scongiurare lo sviluppo di altre infezioni.

Essenziale è il ruolo della prevenzione attiva con regolari visite di controllo dal proprio dentista. Da non dimenticare infine è il contributo della dieta e delle abitudini quotidiane: è bene consumare meno alimenti dolci ed evitare il fumo.

 

A chi affidarsi per devitalizzare un dente

Come si è visto, la salute dei denti è una questione complessa e a cui si deve prestare la dovuta attenzione. Non solo per un fatto meramente estetico, ma per il benessere del corpo nella sua interezza. Il paziente deve quindi selezionare con altrettanta attenzione la struttura a cui affidarsi, dalla diagnosi fino all’intervento. La situazione può essere risolta solo rispettando alcuni importanti passi: da una scrupolosa analisi della storia personale e clinica fino alla valutazione dell’infezione in atto. Segue la pianificazione del migliore trattamento possibile, che dev’essere eseguito con l’ausilio delle tecnologie più avanzate. È quindi consigliabile rivolgersi a strutture ospedaliere che si distinguono non solo per l’apporto tecnologico, ma anche per la presenza di specialisti qualificati e tecnici esperti.
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